SIGNIFICATI E FUNZIONI DEI TERMINI

WUSHU E GONGFU

 

 

In un’intervista rilasciata da Zhang Yaoting, direttore dell’Istituto Cinese per la Ricerca sul Wushu, e pubblicata nel 1993 dalla rivista italiana “Segreti del Kungfu-Wushu”, è possibile leggere un’interessante spiegazione delle molteplici funzionalità del termine Wushu.

Il logogramma Wu della lingua cinese indica l’aggettivo “militare” (contrapposto al termine Wen  che significa “civile, culturale”) e possiede anche le specifiche di marziale, valoroso e fiero.
Shu
è invece il logogramma traducibile come “arte, perizia, abilità, tecnica”.
Ne consegue che l’esatta interpretazione della parola Wushu è naturalmente “arte marziale”.

Zhang Yaoting sottolinea che le arti marziali cinesi sono metodi per l’autodifesa, utilizzati e perfezionati nel corso dei millenni; ma si dice anche che siano tecniche tradizionali derivate dalla medicina classica cinese per mantenere o ripristinare l’equilibrio psico-fisiologico; si può anche credere che il Wushu è un antico sport cinese, nato da una base popolare affine all’arte della danza ed al teatro; ma sicuramente rappresenta una preziosa eredità della civiltà cinese, che oggi sta penetrando, dopo millenni d’evoluzione, sempre più nel tessuto della società occidentale.

Tutte queste affermazioni non sono sbagliate, sono però incomplete: è doveroso precisare come nella storia cinese il Wushu, cioè l’arte marziale, ed il Wenshu, vale a dire l’arte letteraria, hanno sempre condiviso una stretta corrispondenza; se il Wushu era il mezzo per l’attacco e per la difesa, per dominare il paese e per recuperare i territori perduti, era però il Wenshu, cioè la formazione culturale classica, a garantirne la funzionalità, come ben traspare dalla lettura dei trattati cinesi sull’Arte della Guerra. La conclusione di Zhang Yaoting è di porre il Wushu al di là del semplice concetto occidentale di sport, in virtù delle sue manifeste capacità di sviluppare e coltivare la formazione morale e culturale del praticante.

Ripercorrendo la storia della civiltà cinese risulta evidente come siano stati utilizzati moltissimi e differenti termini per indicare le arti marziali (soltanto quelli più frequentemente usati ammontano a più di una cinquantina).

Durante l’interminabile Età Feudale, in un periodo che oscilla dal XX al VII secolo A.C., le arti marziali cinesi erano prevalentemente chiamate:

QUANYONG        拳勇    (Pugni e Coraggio)

SHOUBO            手搏      (Combattere con le mani)

JUELI                  角力  (Provare la forza)

XIANGGAO        相搞     (Sopraffarsi l’un l’altro)

Tra gli anni 770 e 221 A.C., quindi durante il periodo cosiddetto degli Stati Combattenti, comparvero nuove terminologie per indicare le arti marziali, come ad esempio:

JIJI                  技击    (Attaccare con abilità)

XIANGBO            相搏    (Colpirsi con i pugni)

JUEDI                   角抵   (Lottare)

Anche il termine Wuyi risale a quest’epoca; sebbene successivamente vennero in voga altri nomi, esso rimase comunque per molti secoli quello più frequentemente utilizzato.

L’attuale termine Wushu fece la sua prima apparizione all’interno dell’opera intitolata “Zhao Ming Taizi Wenxuan” (cioè la “Raccolta di scritti dell’illustre erede legittimo”); il suo autore Xiao Tong, vissuto dal 501 al 531 D. C. si dilettava di letteratura presso la corte di Nanjing, che all’epoca era un centro d’arte e di cultura, fatto fiorire dalla volontà di suo padre, l’imperatore Liang Wudi.

E’ bene però specificare come la parola Wushu, anche nei secoli successivi, non divenne mai di uso popolare quanto quello già menzionato di Wuyi.

La rivalutazione del termine Wushu dovette attendere il 1911, quando l’ultima dinastia imperiale crollò e dalle sue ceneri sorse la Repubblica Cinese; quest’istituzione fu scossa durante il 1926, analogamente a molte nazioni europee, dall’ascesa politica dell’estrema destra: il partito unico dei nazionalisti, detto Guomindang, fondò, tra le altre innovazioni moderniste, la Scuola Centrale di Nanjing, che attraverso ricerche, pubblicazioni e corsi di formazione operò una nuova interpretazione delle arti marziali tradizionali, definendole col termine Zhongguo Wushu, che nell’uso pratico veniva sempre abbreviato in Guoshu (cioè l’“Arte Nazionale”).

Ancora oggi il termine Guoshu è puntigliosamente preferito dai maestri che vivono nella Repubblica Cinese di Taiwan, fondata nel 1949 dai profughi di fede nazionalista, dopo la disfatta della guerra civile contro i comunisti.

Invece nella Repubblica Popolare Cinese, dopo un periodo iniziale di messa al bando delle arti marziali, se ne riprese la pratica sotto l’egida statale, che intravedeva in queste arti tradizionali, come peraltro in molti aspetti della cultura cinese, un possibile ponte di collegamento tra il passato prossimo della Cina, ancora permeato dalla mentalità feudale, e l’uomo nuovo del mondo moderno socialista.

Sopravvissute agli anni oscuri della Rivoluzione Culturale, le arti marziali cinesi approdarono nel 1958 alla fondazione dell’Associazione Cinese di Wushu, organismo statale che ne impose la pratica su tutto il paese, organizzando seminari e lezioni per la popolazione, all’interno delle scuole, delle fabbriche, dei giardini pubblici, nonché fondando Istituti, presso i capoluoghi delle Regioni, atti alla formazione della pratica agonistica del Wushu.

Il 1985 coincise con la riunione del Comitato Costitutivo della Federazione Internazionale di Wushu, presso l’antica città cinese di Xi’an; nella stesura degli atti il comitato ritenne più appropriato l’uso della traslitterazione Pinyin del termine “Arte Marziale” e stabilì che in futuro sarebbe stato utilizzato il termine Wushu, a discapito di qualunque altro.

Nell’anno 1998, grazie al Comitato Olimpico Asiatico, per la prima volta nella storia, le arti marziali cinesi sotto la denominazione di Wushu, fecero il loro ingresso nello sport olimpico asiatico, in qualità di disciplina competitiva ufficiale degli XI Giochi Asiatici.

E’ quindi comprensibile che oggi in cui il Wushu è diventato uno sport agonistico pur conservando una sua pratica tradizionale e salutistica, la cui diffusione è internazionale, sia doveroso da parte di tutti i suoi praticanti ed estimatori unificare il nome nel termine Wushu.

Citiamo le parole di Xu Cai, dirigente sportivo della Repubblica Popolare Cinese: “è pienamente comprensibile che il popolo cinese abbia trasformato un’eredità culturale come il Wushu in un’arte nazionale, un’abilità nazionale; tuttavia il Wushu attuale cammina verso il mondo… e bisogna affermare che se è un Wushu cinese è anche un Wushu mondiale, perciò chiamarlo col nome generale di Wushu è la cosa più logica e sensata; quando il Judo è entrato nelle specialità competitive ufficiali degli sport olimpici, non è stato preceduto dall’aggettivo giapponese, eppure tutti sanno che è uno sport giapponese che si è diffuso in tutto il mondo”.

La pratica del Wushu è per il popolo cinese una tradizione antica quanto la sua millenaria civiltà, ma nel resto del mondo è un evento ancora recente e per l’Italia in particolare se ne possono far risalire gli esordi alla metà degli anni ’70; ne consegue logicamente che purtroppo ancor oggi l’uso del termine Wushu non è unitariamente diffuso nel mondo, preferendo spesso al suo posto svariati altri nomi (specialmente Kung Fu, Guoshu, Gong Fu, Quan fa, ecc.); chiaramente questo stato di cose non serve ad altro che a confondere le idee a chi è estraneo a questa disciplina o ad essa vorrebbe accostarsi.

In proposito vale la pena di chiarire l’annosa polemica sul corretto significato della parola Kung Fu, diffusasi in Europa nei primi anni ’70 in seguito all’effimero dilagare sul mercato occidentale delle opere cinematografiche prodotte ad Hong Kong, prime fra tutte quelle basate sulle prestazioni marziali dell’artista Li Xiaolong, divenuto poi figura di culto internazionale sotto il nome americanizzato di Bruce Lee.

Kung Fu altro non è che la traslitterazione anglosassone, che utilizza la trascrizione detta Wade Gyles, del termine cinese Gong Fu.

Il logogramma Gong  significa impresa, meritorio, atto eroico, abilità, destrezza, maestria e lavoro.

Il logogramma Fuindica uomo; è una desinenza analoga ad –ore (es. lavoratore) od –ista (es. elettricista).

Gong Fu è quindi traducibile come “tempo ed energia spesa nel lavoro” o anche “grado di perfezione raggiunto in un’attività”.

All’interno delle lingue cinesi dialettali, parlate nelle province del Sud della Cina, quali Guanxi e Guangdong, il termine Gongfu significa anche arte marziale; però nella lingua ufficiale cinese e nei dialetti del nord non è mai stato utilizzato con tale significato.

Storicamente è bene notare che la parola Gongfu, senza alcun riferimento marziale, venne introdotta per la prima volta in Europa all’incirca duecento anni fa, tramite gli scritti di alcuni missionari francesi che durante il loro soggiorno nella Cina si erano interessati alle pratiche  taoiste del controllo dell’energia (Xingqi Zhi Gong).

Un noto proverbio cinese recita: “Zhiyou Gongfu Shen, Tiechu Mocheng Zhen” ed in italiano può essere reso con “soltanto per mezzo di un profondo e minuzioso lavoro è possibile macinare una sbarra di ferro per farla diventare un ago”.

La morale contenuta in questo proverbio è chiara: soltanto per mezzo di un caparbio e duro lavoro si potranno ottenere dei risultati positivi, per la cultura cinese questa morale può essere riferita ad ogni mestiere ed arte, quindi anche alle arti marziali.

Infatti, chi vuole imparare il Wushu è costretto a lavorare per tempi più o meno lunghi, con un impegno costante, faticoso e meticoloso (Gongfu); deve allenare le tecniche fondamentali (Ji Ben Gong), assimilare bene l’essenza dell’abilità (Gongdi) comprendere la virtù dell’abilità (Gongde) ed essere capace di applicare realmente le molteplici forze che compongono tale abilità (Gongli).

Quanto è stato detto mette chiaramente in risalto che il Wushu non è il Gongfu; però è uso corrente dei cinesi misurare a parole la capacità di esecuzione del Wushu per mezzo della prevalenza maggiore o minore del Gongfu in chi lo pratica.

Ad esempio affermare che quella persona possiede molto Gongfu nel suo Wushu, significa che la sua arte marziale è potente.

ESTRATTI DA:

“SHAOLIN WUSHU” Anno 1 Numero 0 Gennaio 1992  
“LA FUNZIONE DEL TERMINE WUSHU” di Xu Cai Traduzione del dott. Fabio Smolari  
“SEGRETI DEL KUNGFU-WUSHU” Anno 1 Numero 3 Ottobre 1993  
“IL WUSHU HA ORIGINE IN CINA MA APPARTIENE AL MONDO” di Wen Feng

Stesura, traduzione e redazione a cura di Enrico Lazzerini, Luca Bizzi, Enrico Storti e Giuliano Furlini